Il dibattito sulla natura delle attività di raccolta fondi nel Terzo Settore si è intensificato negli ultimi tempi, evidenziando numerosi dubbi e una scarsa conoscenza sul tema. Quest'analisi - seppur pungente - ci invita a riflettere sull'essenziale distinzione tra attività commerciali e non, nel contesto della raccolta fondi per enti non profit (ETS).

Similitudini e differenze tra Attività Diverse e Raccolta fondi

Gli ETS, per definizione, perseguono obiettivi di interesse generale e, sebbene possano trovarsi a operare in contesti non strettamente commerciali, devono garantire la sostenibilità delle proprie iniziative. La legge offre chiarimenti e spazi di manovra per queste attività, distinguendo in maniera netta tra "attività diverse" e "raccolta fondi". Pur essendo entrambe finalizzate al sostegno delle iniziative di interesse generale, hanno nature e regolamentazioni specifiche.

La raccolta fondi è definita come «il complesso di attività volte a finanziare gli obiettivi generali dell'ente, attraverso la sollecitazione di lasciti, donazioni e contributi non corrispettivi». Questa definizione pone l'accento sulla non corrispettività, sottolineando la differenza fondamentale con le attività commerciali: nella raccolta fondi, il donatore non riceve un bene o servizio in cambio del suo contributo, a differenza delle "attività diverse", dove la transazione prevede un corrispettivo.

Nel concreto, cosa sono le Attività Diverse e le Attività di Raccolta Fondi?
Sono attività funzionali alla realizzazione delle attività di interesse generale. Con poca fantasia chiamiamo AD le attività diverse e RF quelle di raccolta fondi.

Se sia AD che RF sono funzionali alla realizzazione delle attività di interesse generale, il legislatore le avrà differenziate? Certo che lo ha fatto e lo ha fatto in modo netto grazie alla definizione di RF.

Infatti all’art. 7 del Codice del Terzo Settore si legge:
“Per raccolta fondi si intende il complesso delle attività ed iniziative poste in essere da un ente del Terzo settore al fine di finanziare le proprie attività di interesse generale, anche attraverso la richiesta a terzi di lasciti, donazioni e contributi di natura non corrispettiva”.

La raccolta fondi caratterizza gli enti non profit perché solo a questi soggetti i cittadini si sentono in animo di donare soldi senza ottenere nulla in cambio. Quindi, sia dal punto di vista esperienziale, sia da quello del testo letterario della norma (quando dice “di natura non corrispettiva”) viene fuori che la raccolta fondi è un’attività nella quale qualcuno sollecita i terzi perché lo sostengano senza che questi ricevano nulla in cambio, quindi in una relazione di non corrispettività.


Se non fosse così… cosa differenzierebbe la raccolta fondi dalle attività generali? Quando ottengo una somma di denaro come posso dire che sono in un contesto di raccolta fondi anziché di attività diverse?
Devo trovare un criterio e, come scrive la legge, il criterio è che con la raccolta fondi convincete i cittadini a sostenervi senza che questi si aspettino nulla in cambio.
Invece, con le attività diverse i vostri donatori non sono più tali ma clienti, perché acquistano da voi, aspettandosi qualità dal bene o dal servizio, e che sono consapevoli che anche acquistando “aiutano”.

È sbagliata la tendenza di alcuni professionisti e amministratori di enti non profit a inserire nella raccolta fondi attività commerciali, evidenziando 3 errori principali in questa interpretazione:

  1. l'equivoco nell'interpretare l'offerta di beni e servizi di modico valore come una licenza per trasformare la raccolta fondi in un'attività commerciale,
  2. l'incapacità di distinguere tra attività per corrispettivo e raccolta fondi, con significativi rischi fiscali e di classificazione dell'ente,
  3. la fiducia nelle linee guida ministeriali sulla raccolta fondi che personalmente ritengo - nella parte descrittiva degli strumenti di fundraising - inadeguate e fuorvianti.

Suggerirei ai professionisti e agli amministratori di enti non profit una riflessione profonda sulla natura giuridica e fiscale delle attività di raccolta fondi, che non possono e non devono essere considerate commerciali. L'invito alle organizzazioni è pertanto quello di sviluppare una maggiore consapevolezza e responsabilità nel gestire quelle attività che consentono il finanziamento dei propri enti. 

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